Il museo dell’empatia

il museo dell'empatia

Come ti sentiresti a camminare per un miglio nelle scarpe di uno sconosciuto, mentre ti racconta la sua storia?

Questo è un un post un po’ diverso da quelli che scrivo normalmente. L’ho in bozza da diverse settimane e sento, con tutto quello che sta accadendo attorno a noi, che è arrivato il momento che prenda vita.

Parla di un museo bellissimo che ha aperto da quasi due mesi a Londra: il museo dell’empatia (l’Empathy Museum).

Sì, hai letto bene, un museo dedicato all’empatia – il primo di questo tipo al mondo. Come dice il sito dell’Empathy Museum, il museo dell’empatia è “dedicato a sviluppare l’empatia e a creare una rivoluzione globale delle relazioni umane”.

Perché un museo dell’empatia?

Ce lo spiega uno degli ideatori del museo, l’intellettuale e scrittore Roman Krznaric:

L’empatia è l’arte di mettersi nei panni di qualcun altro e vedere il mondo attraverso i suoi occhi. È lo strumento più potente che abbiamo per capire la vita degli altri.

La parola empatia è un concetto popolare oggi più che in un qualsiasi altro momento dell’ultimo secolo; è sulla bocca di tutti, da Barack Obama al Dalai Lama, dai guru della finanza agli psicologi. La ricerca neuroscientifica rivela che il 98 per cento delle persone ha la capacità di provare empatia, ma pochi di noi raggiungono completamente il proprio potenziale empatico.

Purtroppo viviamo in un mondo iperindividualistico che sta erodendo rapidamente la nostra capacità di provare empatia. Negli Stati Uniti, secondo studi recenti, i livelli di empatia sono crollati del 50 per cento.

La nostra incapacità di apprezzare il punto di vista degli altri, le loro esperienze e i loro sentimenti sono alla radice del pregiudizio, del conflitto e della disuguaglianza.

L’empatia è l’antidoto di cui abbiamo bisogno.

Il museo dell’empatia è stato inaugurato il 4 settembre scorso in occasione del Totally Thames Festival, una rassegna dedicata al mondo dell’arte, della cultura e del sociale, e dovrebbe diventare un programma internazionale itinerante della durata di due anni.

È stato concepito come una serie di installazioni ispirate a diversi temi: molte di queste, dopo il periodo di esposizione a Londra, intraprenderanno un lungo viaggio che le porterà nelle principali città per giungere, infine, a Perth, in Australia.

La prima installazione interattiva si è conclusa il 27 settembre sulle rive del Tamigi ed è stata chiamata A Mile in My Shoes (Un miglio nelle mie scarpe). Probabilmente avrai già sentito il detto anglosassone: “Prima di giudicare una persona, prova a camminare un miglio con le sue scarpe”. È come il nostro “mettersi nei panni dell’altro”.

Dimenticati dei musei con le opere d’arte dietro un vetro: questo museo è diverso

Immagina di trovarti di fronte a un’enorme scatola di cartone per le scarpe, in cui entri e dove puoi prendere in prestito un paio di scarpe di una persona che ha avuto una vita totalmente diversa dalla tua – un operaio che lavora nelle fognature, una persona che ha perso tutta la sua famiglia in un incidente, un rifugiato, un maratoneta o un ex prigioniero.

E con quelle scarpe addosso – che magari sono scomode o ti stringono, e che nella vita reale non indosseresti mai – ti ritrovi a camminare per un miglio lungo le sponde del Tamigi mentre ascoltando, attraverso le cuffie che ti sono state consegnate mentre ti cambiavi, la voce della persona a cui appartengono le scarpe mentre ti racconta la sua storia e le sue esperienze.

Quante persone incontriamo tutti i giorni di cui non conosciamo nulla? Forse, se ci fermassimo ad ascoltare e ci mettessimo nei loro panni, capiremmo come si sentono, come mai hanno fatto quelle scelte o stanno dicendo quelle parole.

Se, da una parte, può essere anche un gioco divertente toglierci le scarpe e indossarne un paio di uno sconosciuto che ha una vita completamente diversa dalla nostra, al tempo stesso “immergerci” fisicamente in quelle scarpe e camminarci per un chilometro e mezzo, mentre ascoltiamo la sua voce e la sua storia, può essere un’esperienza fisica ed emotiva molto profonda.

Un’esperienza così coinvolgente da riuscire a risvegliare in noi, almeno un po’ di più, il potere dell’empatia: la capacità di metterci nei panni di chi abbiamo di fronte e comprendere la sua vita, le sue difficoltà, e a percepirne e accettarne le diversità.

Un intento ambizioso e al tempo stesso rivoluzionario.

Credi anche tu che abbiamo bisogno di una rivoluzione delle relazioni umane?

Sarebbe la prima che nasce con una scatola di scarpe.

Come cantava Elvis:

If I could be you, if you could be me
For just one hour
If we could find a way to get inside each other’s mind
Walk a mile in my shoes
Walk a mile in my shoes.